Il D. Lgs. 31/01 stabilisce i limiti massimi ammissibili per le sostanze che possono essere presenti nell’acqua destinata al consumo umano. I limiti sono stati stabiliti tenendo conto dell’assunzione massima giornaliera su lunghi periodi, della natura del contaminante e della sua eventuale tossicità.
La verifica del rispetto dei parametri indicati dal decreto è necessaria perché alterazioni di carattere chimico o microbiologico, o ambedue, concorrono a rendere spesso non potabili anche acque limpide, fresche e assolutamente insospettabili e quindi un’acqua può essere dichiarata idonea all’uso potabile solo quando è stata analizzata sia sotto il profilo chimico, che microbiologico.
Il gestore della rete idrica si considera aver adempiuto agli obblighi del decreto quando i valori di parametro fissati nell’allegato 1 sono rispettati nel punto di consegna, ma per gli edifici e le strutture in cui l’acqua è fornita al pubblico, il titolare ed il gestore dell’edificio o della struttura devono assicurare che il rispetto dei valori di parametro fissati nell’allegato 1 sia mantenuto nel punto in cui l’acqua fuoriesce dal rubinetto; è quindi consigliabile che ciascun Amministratore che gestisce condomini in cui siano presenti strutture aperte al pubblico, come bar, ristoranti, esercizi commerciali, studi dentistici o medici, ecc…, verifichi periodicamente la qualità dell’acqua in essi erogata, mediante analisi chimiche e batteriologiche atte a controllare il rispetto dei limiti di legge.
Di seguito forniamo l’elenco dei principali parametri indicatori citati nell’All. 1 del D. Lgs 31/2001:
Parametri microbiologici
Escherichia coli (E.coli)
Conteggio delle colonie a 22°C
Conteggio delle colonie a 37°C
Batteri coliformi a 37°C
Parametri chimici
Alluminio
Ammonio
Cloruro
Colore
Conduttività
Concentrazione ioni idrogeno
Ferro
Manganese
Odore
Sodio
Torbidità
Durezza
Storia dell’amianto
Si definisce amianto (o asbesto) qualsiasi minerale che, opportunamente preparato, fornisce fibre utilizzabili per essere filate e resistenti al calore.
Sotto questa definizione rientrano principalmente sei specie minerali: l’amianto di serpentino o crisotilo e cinque minerali del gruppo degli anfiboli: la crocidolite, l’amosite, l’antofillite, la tremolite e l’actinolite.
Come è noto, l’amianto è stata una delle materie prime più utilizzate in svariati campi ed infatti sono oltre 3000 i prodotti conosciuti contenenti questo minerale: circa il 70% consiste in diversi tipi di cemento amianto, il 20% in materiale di tipo friabile (coibentazioni spruzzate, rivestimenti di tubazioni, corde, tessuti, carta, ecc…) ed il 10% in prodotti vari, tra i quali, data la resistenza al calore dell’amianto, materiali di attrito (ferodi, frizioni).
E’ anche noto, però, che, col passare del tempo, tale minerale ha dimostrato per l’uomo una pericolosità correlata all’inalazione delle sue fibre, che per le loro caratteristiche morfologiche, sono risultate essere responsabili di diverse patologie, di differente gravità: asbestosi, carcinoma polmonare e mesotelioma della pleura.
Sulla base della loro pericolosità, quindi, i materiali contenenti amianto possono essere suddivisi in due categorie principali: materiali “compatti”, definiti come materiali duri che possono essere sbriciolati o ridotti in polvere solo con l’impiego di attrezzi meccanici (dischi abrasivi, frese, trapani, ecc.), e materiali “friabili”, cioè materiali che possono essere facilmente sbriciolati o ridotti in polvere solo con la semplice pressione manuale. La pericolosità è infatti legata alla capacita dei materiali di amianto di rilasciare fibre potenzialmente inalabili e inoltre nella estrema suddivisione cui tali fibre possono giungere. Essendo l’amianto, nei materiali compatti in buono stato di conservazione, fortemente inglobato in una matrice cementizia, il rischio di rilascio è contenuto, mentre non lo è nei materiali friabili, in cui le fibre di amianto non sono legate in modo sufficientemente coesivo ed il rischio di inalazione è aumentato.
Con la legge 257/92 è stato introdotto l’obbligo dei censimenti dei materiali contenenti amianto (MCA) all’interno degli edifici, censimento che richiede il riconoscimento di tali materiali, che può basarsi su diversi metodi di indagine (memoria storica, presenza del marchio di fabbrica – tipo Eternit), tra i quali il più sicuro consiste nell’esame analitico di un campione a sospetto contenuto di asbesto.
Il FAAB Studio Associato dei Dott. A. Antonacci e Fabio Berra dispone di un microscopio ottico a contrasto di fase che permette il riconoscimento delle fibre di amianto nei campioni in massa con tecnica di dispersione cromatica secondo quanto previsto dal D.M. 14 Maggio 1996, S.O. 178 alla G.U. 251 del 25 Ottobre 1996.
Come precedentemente esposto, l’amianto è un materiale che è stato utilizzato in quasi tutti i settori e quindi è facilmente riscontrabile: infatti, nonostante il suo uso e la sua produzione siano stati vietati in Italia dal 1992, a causa dell’enorme utilizzo che ha avuto nei decenni precedenti, ancora oggi sono presenti nell’ambiente grandi quantità di amianto, sia sotto forma di manufatti in cemento amianto, come canne fumarie, serbatoi, coperture, sia sotto forma di pannelli coibenti, di tessuti termoresistenti ecc…Anche se numerosi sono stati gli interventi di bonifica che hanno in piccola parte ridimensionato questo problema, l’esposizione alle fibre di amianto è ancora una realtà molto attuale.
Di conseguenza, adesso assumono grande rilevanza le indagini ambientali volte a valutare tale esposizione e le metodiche per attuare queste indagini.
Le diverse situazioni ambientali che possono essere studiate sono riconducibili a tre principali categorie:
Ambiente lavorativo
Ambiente indoor
Ambiente esterno
Dal momento che, con la legge 257/92, è stato indetto il divieto dell’impiego di amianto in Italia, al giorno d’oggi le uniche attività suscettibili di un’esposizione professionale risultano essere le attività di bonifica e le attività di manutenzione di impianti in cui sono presenti manufatti con amianto.
Con il Decreto Legislativo 257/06, è stato fissato un valore limite di esposizione di 100 ff/l, limite che il datore di lavoro delle attività che possono comportare rischio di esposizione all’amianto deve verificare non venga superato dai propri dipendenti nell’ambiente lavorativo; tale verifica deve essere effettuata tramite determinazione della concentrazione di fibre aerodiperse, facilmente misurabile con la tecnica della microscopia ottica in contrasto di fase (MOCF).
Data l’enorme diffusione delle tipologie di MCA, numerosi sono gli ambienti al chiuso in cui tali materiali sono presenti: anche solo all’interno degli edifici di civile abitazione, essi si possono trovare all’interno delle centrali termiche, dei garage, delle cantine; possono essere in ambienti insonorizzati, ma anche in mezzi per il trasporto marittimo e rotabili ferroviari, realizzati intorno agli anni ’60 e ’70.
Di solito, in questi locali la concentrazione di fibre di amianto è piuttosto contenuta, anche se dipende notevolmente dallo stato di conservazione del materiale contenente amianto e dalle condizioni ambientali in cui esso si trova (la presenza di ventilazione o di correnti d’aria, la possibilità che il materiale possa essere danneggiato ecc. sono elementi che favoriscono il disperdersi delle fibre nell’aria circostante).
In questi casi, un monitoraggio ambientale permetterebbe di valutare la possibile esposizione degli occupanti e l’eventuale presenza di sorgenti attive.
Il monitoraggio delle fibre aerodiperse in ambienti esterni può essere necessario generalmente in genere nelle aree urbane o in zone esterne vicine a potenziali sorgenti di amianto, come cantieri di scoibentazione, discariche di RCA, zone con presenza di minerali di amianto. Dal momento che in questi casi si può verificare una notevole dispersione nell’aria delle fibre, essendo in ambiente esterno, la concentrazione è generalmente piuttosto bassa ma può, ance in questo caso, essere indicativa di potenziali fonti di inquinamento.
La determinazione delle fibre aerodisperse è effettuabile tramite due tecniche microscopiche differenti: la microscopia ottica in contrasto di fase (MOCF) e la microscopia a scansione elettronica (SEM).
La prima ha il vantaggio di permettere di avere risultati in tempi brevi, di richiedere tempi di campionamento più ridotti e di avere costi più bassi; gli svantaggi consistono nel fatto che, come anche da decreto, il risultato ottenuto non si riferisce alle sole fibre di amianto presenti nell’ambiente monitorato al momento del campionamento, ma alle fibre “regolamentate”, cioè quelle considerate respirabili (diametro o = 5 m, rapporto lunghezza/spessore < o = 3:1); inoltre non è possibile apprezzare le fibre ultrasottili.
La tecnica SEM dà invece la possibilità di discriminare fra le fibre di amianto respirabili e tutte le altre, permette di rilevare anche le fibre più sottili, ma ha lo svantaggio di avere costi maggiori e di richiedere volumi di campionamento superiori e tempi di analisi più lunghi.